venerdì 18 giugno 2010

La Città degli Angeli

Immaginate di essere nati nella Los Angeles degli anni '50. Nella Hollywood in bianco e nero. Dove girando si potevano incontrare stelle del cinema e gangsters. Immaginate di aver vissuto l'inspiegabile omicidio di vostra madre e di essere cresciuti con un padre inadeguato e che vi abbia raccontato tutto quello che si nasconda dietro la carta patinata del mondo di Hollywood. Insomma, immaginate di essere James Ellroy.
Proprio nella sua LA Ellroy scrive la storia di tutti gli anni '50, attraverso le avventure di tre poliziotti. Un veterano stanco, uno sbirro duro, puro e non troppo sveglio e una giovane promessa ambiziosa e intelligente.
La trama è, come per le storie di Ellroy, un intrico di sovrapposizioni e trame collaterali; a volte incomprensibili, a volte geniali, a volte inverosimili, ma in fondo si scarsa importanza. Come deve essere nel noir. Raymond Chandler, in un intervista sul Grande Sonno, alla domanda su che fine avesse fatto l'autista scomparso, cadde dalle nuvole dicendo: “Quello? Me ne sono completamente dimenticato”.
La meraviglia che si prova a leggere Ellroy travalica la semplice storia ma proviene dal fatto di leggere di persone e fatti che si intrecciano con individui ed eventi reali e da come, al fine della narrazione, è la realtà che viene piegata. Non nei semplici fatti, che rimangono inalterati, ma nella loro essenza visto che sono interpretati al bisogno per ottenere la massima verosimiglianza. Il punto finale è che alla fine si resta trasecolati per un secondo con un solo interrogativo nella testa. “Quanto c'è di vero?”, che ne nasconde uno più infantile ed appassionante: “Ma sarà andata proprio così?”. La risposta, immagino, è qualcosa di simile a quella di Chandler. “Me lo sono scordato”.
LA Confidantial
AMV

martedì 15 giugno 2010

Silvia d’Acciaio

Spero che Silvia Avallone ce la faccia. Spero che questa ragazza vinca il premio Strega.
Perché “Acciaio” è fatto di pagine che si incollano alla mente, pagine dure e roventi, perché Anna e Francesca hanno un corpo e un’anima che si lasciano toccare, perché la loro storia riesce a sfiorare quelle corde intime che abbiamo paura di ascoltare. Tutto quello che per pudore si evita di dire o persino pensare, tutto quello che si lascia lì immobile per non farlo risvegliare, tutto il colore e la vitalità che abbiamo il timore di sollecitare e far esplodere in maniera incontrollata, incontrollabile. Tutti quei tredici anni esibiti, sfacciati e fragili, pazzi e disperati vissuti o consumati in una provincia che schiaccia ed appiattisce. La vita che si piega e infine fonde come l’acciaio, lasciando intatta e pura un’amicizia che resiste e commuove.
Spero che Silvia Avallone ce la faccia perché le pagine che ha scritto sono coraggiose e oneste. Perché le sue parole raccontano di un’esistenza reale, nuda e ruvida, ma riescono a farlo con infinita dolcezza che mi è rimasta negli occhi pensando ad Anna e Francesca a piedi nudi che si agitano come pesci luccicanti nella vita.

Pandora