martedì 27 luglio 2010

10 in condotta secondo Nick Hornby

Dietro ad una storia familiare, c’è una filosofia di vita abbastanza intricata dalle nuove problematiche moderne. Le prigioni del perbenismo (la protagonista dice una bugia, allora la figlia Molly crede di poter falsare anche lei in caso di situazioni scomode), un buonismo a tutti i costi che chiaramente porta raramente all’effetto desiderato, coppie non coppie ovvero restiamo-una-coppia-fino-alla-maturità-dei-figli (un ennesimo –ismo che potremmo stentatamente definire “matrimonismo”). La protagonista (nelle vesti del buon-medico) ammette di avere pazienti spezzacuore, per i quali le medicine che prescrive non sortiranno nessun effetto benefico, per sua stessa ammissione a priori (“prescrivo farmaci che non funzionano”): in questa crisi moderna anche della medicina si insinua il personaggio BuoneNuove che cerca un quid della mente o dell’anima per sciogliere il problema di ognuno.
Basterebbero solo “trecento sterline” per comprare un walkman, 10 libri e qualche CD e così ricreare i presupposti per un’isola felice in cui (ri)trovare sollievo e felicità – senza le quali potremo fare poco per gli altri. E la sensazione di scomparire in assenza di tempo dedicato a se stessi: “è tutto ciò che rimane, quando togli le ore di lavoro, i pranzi di famiglia e le colazioni di famiglia: il tempo che ora dedico a me stessa è il tempo che avrei passato a fare la moglie, piuttosto che la madre o il medico”.

Come diventare buoni


RDS

venerdì 18 giugno 2010

La Città degli Angeli

Immaginate di essere nati nella Los Angeles degli anni '50. Nella Hollywood in bianco e nero. Dove girando si potevano incontrare stelle del cinema e gangsters. Immaginate di aver vissuto l'inspiegabile omicidio di vostra madre e di essere cresciuti con un padre inadeguato e che vi abbia raccontato tutto quello che si nasconda dietro la carta patinata del mondo di Hollywood. Insomma, immaginate di essere James Ellroy.
Proprio nella sua LA Ellroy scrive la storia di tutti gli anni '50, attraverso le avventure di tre poliziotti. Un veterano stanco, uno sbirro duro, puro e non troppo sveglio e una giovane promessa ambiziosa e intelligente.
La trama è, come per le storie di Ellroy, un intrico di sovrapposizioni e trame collaterali; a volte incomprensibili, a volte geniali, a volte inverosimili, ma in fondo si scarsa importanza. Come deve essere nel noir. Raymond Chandler, in un intervista sul Grande Sonno, alla domanda su che fine avesse fatto l'autista scomparso, cadde dalle nuvole dicendo: “Quello? Me ne sono completamente dimenticato”.
La meraviglia che si prova a leggere Ellroy travalica la semplice storia ma proviene dal fatto di leggere di persone e fatti che si intrecciano con individui ed eventi reali e da come, al fine della narrazione, è la realtà che viene piegata. Non nei semplici fatti, che rimangono inalterati, ma nella loro essenza visto che sono interpretati al bisogno per ottenere la massima verosimiglianza. Il punto finale è che alla fine si resta trasecolati per un secondo con un solo interrogativo nella testa. “Quanto c'è di vero?”, che ne nasconde uno più infantile ed appassionante: “Ma sarà andata proprio così?”. La risposta, immagino, è qualcosa di simile a quella di Chandler. “Me lo sono scordato”.
LA Confidantial
AMV

martedì 15 giugno 2010

Silvia d’Acciaio

Spero che Silvia Avallone ce la faccia. Spero che questa ragazza vinca il premio Strega.
Perché “Acciaio” è fatto di pagine che si incollano alla mente, pagine dure e roventi, perché Anna e Francesca hanno un corpo e un’anima che si lasciano toccare, perché la loro storia riesce a sfiorare quelle corde intime che abbiamo paura di ascoltare. Tutto quello che per pudore si evita di dire o persino pensare, tutto quello che si lascia lì immobile per non farlo risvegliare, tutto il colore e la vitalità che abbiamo il timore di sollecitare e far esplodere in maniera incontrollata, incontrollabile. Tutti quei tredici anni esibiti, sfacciati e fragili, pazzi e disperati vissuti o consumati in una provincia che schiaccia ed appiattisce. La vita che si piega e infine fonde come l’acciaio, lasciando intatta e pura un’amicizia che resiste e commuove.
Spero che Silvia Avallone ce la faccia perché le pagine che ha scritto sono coraggiose e oneste. Perché le sue parole raccontano di un’esistenza reale, nuda e ruvida, ma riescono a farlo con infinita dolcezza che mi è rimasta negli occhi pensando ad Anna e Francesca a piedi nudi che si agitano come pesci luccicanti nella vita.

Pandora

giovedì 1 aprile 2010

In viaggio da Canterbury.

Quando aprile con le sue dolci piogge ha penetrato fino alla radice la siccità di marzo, impregnando ogni vena di quell'umore che la virtù di dar ai fiori, quando anche Zeffiro col suo dolce flauto ha rianimato per ogni bosco e ogni brughiera i teneri germogli, e il nuovo sole ha percorso metà del suo cammino in Ariete, e cantando melodiosi gli uccelletti che dormono tutta la notte ad occhi aperti la gente è allora presa dal desiderio di mettersi in pellegrinaggio... Geoffrey Chaucer, tratto da I Racconti di Canterbury è la frase in testa ad un romanzo di viaggio di Enrico Brizzi. Era il mio romanzo di Brizzi. Avevo tentato anni fa di leggere Bastogne a puntate, a casa di un amico. Ma inutilmente.

Poi il consiglio di un amico di leggere questo romanzo. Il dubbio. L'acquisto.

La storia di quattro uomini in viaggio lungo la Via Francigena da Canterbury a Roma, a piedi, per scalare le Alpi. Dei loro piani e di come questi vengano cambiati rovinosamente da un misterioso pellegrino

Mi è piaciuto molto, anche se lo consiglierei solo agli amanti dei viaggi. Di quei viaggi di cui non sai dove sarai la sera; e non hai la minima idea di come sarà la giornata seguente. Di quei viaggi in cui ti fermi a fissare il cielo, per cercare di capire se pioverà, perché la pioggia può, come succedeva nell'antichità, decidere il tuo viaggio. Limitare le tue tappe. Quei viaggi, in cui lo scopo del gioco è spostarsi, e una volta arrivati cercare, senza punti di orientamento, da mangiare e da dormire. Come una piccola avventura per conoscere il mondo e se stessi.

Io ne ho fatte due. La prima, di prova, poco avventurosa: in auto, in giro per il centro Europa, con gli alberghi prenotati e poca incertezza. La seconda alla ventura: in bicicletta, tra rotture e forature, senza prenotazioni a scoprire Tenerife scalando con fatica le salite fino ai vulcani e scendendo verso mare e scogliere.

Entrambe rivelatrici della propria capacità di adattarsi e di decidere di giorno in giorno cosa uno vuole fare. Nelle vicende e negli scazzi dei protagonisti, ho rivisto la mia voglia di abbandonare tutti gli amici per una giornata, con una stretta di mano e un “ci vediamo per cena; divertitevi” e nel loro camminare insieme invece ho rivisto quella gioia semplice di spartire un'arancia rubata dal tavolo della colazione, seduti accanto alle biciclette, a metà mattinata. O cambiarsi le magliette fradice in mezzo alla strada, sotto una tettoia, perché il Kway che usi è impermeabile come uno scolapasta.

A coloro che hanno nel cuore una vacanza così, consiglio questo libro. Questo e il mio più sincero augurio di partire presto. Perché di una vacanza così non se ne può fare a meno.


Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro