giovedì 1 aprile 2010

In viaggio da Canterbury.

Quando aprile con le sue dolci piogge ha penetrato fino alla radice la siccità di marzo, impregnando ogni vena di quell'umore che la virtù di dar ai fiori, quando anche Zeffiro col suo dolce flauto ha rianimato per ogni bosco e ogni brughiera i teneri germogli, e il nuovo sole ha percorso metà del suo cammino in Ariete, e cantando melodiosi gli uccelletti che dormono tutta la notte ad occhi aperti la gente è allora presa dal desiderio di mettersi in pellegrinaggio... Geoffrey Chaucer, tratto da I Racconti di Canterbury è la frase in testa ad un romanzo di viaggio di Enrico Brizzi. Era il mio romanzo di Brizzi. Avevo tentato anni fa di leggere Bastogne a puntate, a casa di un amico. Ma inutilmente.

Poi il consiglio di un amico di leggere questo romanzo. Il dubbio. L'acquisto.

La storia di quattro uomini in viaggio lungo la Via Francigena da Canterbury a Roma, a piedi, per scalare le Alpi. Dei loro piani e di come questi vengano cambiati rovinosamente da un misterioso pellegrino

Mi è piaciuto molto, anche se lo consiglierei solo agli amanti dei viaggi. Di quei viaggi di cui non sai dove sarai la sera; e non hai la minima idea di come sarà la giornata seguente. Di quei viaggi in cui ti fermi a fissare il cielo, per cercare di capire se pioverà, perché la pioggia può, come succedeva nell'antichità, decidere il tuo viaggio. Limitare le tue tappe. Quei viaggi, in cui lo scopo del gioco è spostarsi, e una volta arrivati cercare, senza punti di orientamento, da mangiare e da dormire. Come una piccola avventura per conoscere il mondo e se stessi.

Io ne ho fatte due. La prima, di prova, poco avventurosa: in auto, in giro per il centro Europa, con gli alberghi prenotati e poca incertezza. La seconda alla ventura: in bicicletta, tra rotture e forature, senza prenotazioni a scoprire Tenerife scalando con fatica le salite fino ai vulcani e scendendo verso mare e scogliere.

Entrambe rivelatrici della propria capacità di adattarsi e di decidere di giorno in giorno cosa uno vuole fare. Nelle vicende e negli scazzi dei protagonisti, ho rivisto la mia voglia di abbandonare tutti gli amici per una giornata, con una stretta di mano e un “ci vediamo per cena; divertitevi” e nel loro camminare insieme invece ho rivisto quella gioia semplice di spartire un'arancia rubata dal tavolo della colazione, seduti accanto alle biciclette, a metà mattinata. O cambiarsi le magliette fradice in mezzo alla strada, sotto una tettoia, perché il Kway che usi è impermeabile come uno scolapasta.

A coloro che hanno nel cuore una vacanza così, consiglio questo libro. Questo e il mio più sincero augurio di partire presto. Perché di una vacanza così non se ne può fare a meno.


Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro